La serie "Visioni Altre" di Monica Catto si articola in un ciclo pittorico che coniuga rigore tecnico e tensione spirituale, facendo delle materie pittoriche il veicolo privilegiato per l’emersione di immagini interiori, archetipiche e visionarie. La forza della serie risiede non soltanto nella densità simbolica dei temi trattati, ma soprattutto nella complessità del trattamento pittorico, dove le tecniche si trasformano in linguaggio.
Il medium pittorico non è mai usato in modo illustrativo, ma come strumento di rivelazione: la pittura a olio, nella sua qualità corposa e mutevole, viene stesa in velature o campiture più sature, per evocare atmosfere profonde e immateriali. Il colore si stratifica e si muove lentamente, lasciando emergere tensioni sottili e riverberi interiori.
L’acrilico, invece, viene impiegato con funzione più gestuale e incisiva: rapide incursioni cromatiche, segni veloci e pulsanti, che rompono l’equilibrio della superficie e introducono un ritmo visivo più nervoso e immediato. La sua presenza è spesso utilizzata per alterare la percezione dello spazio o per rendere visibile una forza dinamica che attraversa la composizione.
Laddove compare, l’uso della cold wax introduce una materia più opaca e sedimentata, capace di trattenere la luce anziché rifletterla. Questo materiale, mescolato con il colore ad olio, crea superfici che appaiono quasi intonacate, dove il tempo sembra essersi fermato. Graffiature, abrasioni e trasparenze contribuiscono a una pittura “scavata”, in cui la visione non si impone, ma si rivela per gradi.
Catto lavora dunque per contrasti tattili e temporali: l’istantaneità dell’acrilico si confronta con la lentezza dell’olio, la trasparenza si scontra con l’opacità, il gesto rapido si sovrappone alla sedimentazione della materia. Questo processo pittorico costruisce superfici che non sono mai solo da guardare, ma da percepire con il corpo, come se la pittura fosse un territorio da attraversare.
Attraverso questa articolazione tecnica, "Visioni Altre" si fa esperienza sensibile del trascendente: ogni opera è un varco, un’apparizione che non descrive, ma evoca, sospendendo il tempo tra il visibile e l’invisibile, tra pittura e rivelazione.